Essere una band americana di successo e pubblicare un album nel 2008, ”election year” anche oltreoceano, significa far parte in qualche modo della marea di informazioni che inonda le menti pensanti degli Stati Uniti, significa essere consapevoli di avere l’opportunità di dire la propria in un momento particolare, significa decidere se guardarsi intorno e parlare della verità o aprire i quotidiani solo per cercare il tuo singolo in cima alla top ten settimanale.
I Roots hanno fatto la loro scelta: ”the most incendiary, political album of our career to date.” Parola di ?uestlove che sempre a proposito del nuovo Rising Down (album numero dieci della band di Philadelphia, secondo con la Def Jam) dice: “Is an electric record,more sinthy. The darks are darker and the lights are lighter”, scattando un’istantanea estremamente realistica del suo ultimo lavoro.
In effetti è proprio la contrapposizione tra toni chiari e scuri la chiave di lettura di un disco che si potrebbe riassumere perfettamente con il titolo del libro dal quale prende il nome: “Rising Up and Rising Down: Some Thoughts on violence, freedom and urgent means.”
Rising Down apre le danze e la porta su questo mondo oscuro dei Roots, Black Thought è ispiratissimo e accompagnato da Mos Def e Styles-P parla di un mondo alla deriva, fuori controllo, di cattiva informazione e inevitabilmente di droga, poi con Get Busy stringe la visuale sulla tanto amata Philadelphia, un pezzo di denuncia ma anche una celebrazione della città natale impreziosita dagli scratches di una leggenda del posto: Dj Jazzy Jeff.
I fan più “conservatori” possono premere il tasto repeat su 75 bars (black’s reconstruction) unica espressione dei “vecchi” Roots con la batteria incalzante di
?uestlove che fa il paio a settantacinque righe senza pause di rap duro e crudo, al quale segue il primo raggio di luce, i toni decisamente più morbidi e pieni di Criminal, una parola che sembra tenersi molto lontana dagli ambienti che contano mentre piove quotidianamente sulle teste di chi sta per strada ad alimentare un potere sempre più lontano: “Monday they predict the storm/Tuesday they predict the bad/Wednesday they cover the grass/And I can see It’s all about cash/And they got the nerve to hunt my ass/And treat me like a CRIMINAL.”
A questo punto calano le tenebre, i synths prendono il sopravvento, in sequenza suonano I Will Not Apologize, I Can’t Help it (in cui Black Thought canta su una base che sembra rubata ai Depeche Mode del periodo più cupo), Singing Man, Up There e Lost Desire. Il libro delle presenze è stracolmo, passano a a firmarlo anche Porn, Dice Raw, Truck North, Mercedes Martinez, Malik B e Talib Kweli, più o meno gli stessi artisti che apparivano nell’album precedente.
Arriva anche il turno di Common che si affianca alla band in una sorta di festa di compleanno, dove si guarda indietro, si tirano le somme e si pensa anche al futuro, The Show (must go on) è una dichiarazione di intenti.
Il gran finale, è proprio il caso di dirlo, è una ventata di aria fresca che dirada le atmosfere grigie e nuvolose degli ultimi 30 minuti. Arriva Rising Up ed è proprio il caso di alzarsi, lasciarsi trasportare dalle tanto attese ritmiche funky e da un coretto che fa tanto Guru’s Jazzmatazz, rendersi conto che per riaccendere la luce è bastato rispolverare il caro vecchio Fender Rhodes e finire per domandarsi: perché diavolo l’avevano spenta?
Autore: Fabrizio Durante