Poco immediato a sapersi, ma è così: Portland, Oregon, è uno snodo cruciale per quella “fetta” di sperimentazione in cui ancora possa rintracciarsi qualche “residuo” di rock, risieda esso nei suoni o nell’approccio/estetica con cui i protagonisti di turno si relazionano ai primi e, più in generale, agli osservatori. Ci avevano pensato già i Jackie-O-Motherfucker a caratterizzare in tal senso una parte dell’anima musicale di questa città, tendenzialmente equidistante dalle vicende tanto del north-west vero e proprio quanto, più a sud, della Bay Area.
In tal sede la sperimentazione è quella che abbatte i confini tra rock, jazz, elettronica e rumore sotto i colpi di un’azione che chiama in causa tanto la certosina metodologia del “collagismo” di studio quanto la necessità di improntare il brainstorming compositivo a una politica di free-form e improvvisazione. Una cosa è sicura: le modalità espressive del “filone tedesco” (soffici tappeti melodici di synth sottoposti alla scansione semi-casuale di glitch) è altra cosa.
Il piatto del giorno, in tal senso, lo forniscono i Nudge, terzetto già all’opera, separatamente e sempre su Kranky, come Fontanelle (Brian Foote e Paul Dickow) e Strategy (“saggio” di batteria del solo Dickow), oltre che, nel caso della Honey Owens, al servizio dei citati JOMF. In questo loro terzo album i Nudge affondano le mani in una materia fosca, nebulosa – e massimamente eterogenea, al punto da complicare ulteriormente un’identificazione stilistica resa già problematica dalle accennate premesse. I 3 dell’Oregon ignorano ogni possibile ostacolo di coerenza nel poggiare strato su strato sonoro: IDM, noise, scorie rock, che è una miscela anche intelligibile; ma entrano poi in gioco l’incredibile ambient-reggae (che riverberi!) di ‘Contact’ e ‘Blon’, e le scintille electro-clash della successiva ‘My New Youth’. Manca la voce, ma forse lo avevate già capito.
Su tale registro i Nudge potrebbero brillantemente superare questo “esame” se nella seconda parte “Cache” non si appiattisse su esercizi di incastro ritmico-timbrico dal tenore piuttosto statico e ripetitivo – sebbene delle predette textures resti una solida intelaiatura più che una semplice sequenza di “monadi” sonore. Un eventuale quarto album dotato di maggior organicità sarà sicuramente più ben accetto. E noi lo aspettiamo…
Autore: Bob Viilani