La lunga attesa è terminata. Dopo 13 anni i Primus sono tornati in Europa con due tappe anche in Italia: il 26 giugno al Castello Sforzesco di Vigevano (Pavia) e il giorno seguente all’Atlantico Live di Roma. La data capitolina del trio di San Francisco si annunciava come un vero evento e a sentire le voci degli spettatori in fila dal tardo pomeriggio, arriva subito la conferma. Entusiasmo, trepidazione, voglia di riabbracciare una delle formazioni più eclettiche e innovative della musica alternativa a stelle e strisce, guidata da quel Les Claypool vera leggenda del basso rock. Il pubblico è eterogeneo, proveniente non solo dal Lazio ma anche dalla Sicilia, dalla Campania, dalla Toscana, dall’Abruzzo e due addirittura da Belgrado. Non erano i soli stranieri presenti, visto che si sentiva parlottare inglese qua e la. Alle 21 in punto inizia il concerto con gli Hot Head Show a fare da apripista. 50 minuti di noise frulla tutto dove convergono varie influenze, dal jazz all’avant-rock. Il trio, guidato dal cantante/chitarrista Jordan Copeland (figlio di Stewart, batterista dei Police), viene molto apprezzata dal pubblico per il suo stile indecifrabile, energico e genuino. A breve pubblicheranno il loro debut album “The Lemon LP“ (5 agosto) e se la critica inglese ci ha visto giusto, ci troviamo di fronte a una band dal sicuro avvenire. Ma è al termine del loro set che l’adrenalina inizia a salire. Giusto il tempo di un breve cambio palco e arriva il momento tanto atteso. Si spengono le luci e parte il jingle circense che introduce i nostri eroi. Sui caschi dei due enormi astronauti che fanno da sfondo on stage vengono proiettate le prime immagini: volti buffi, smorfie, facce sorridenti e inquietanti, su tutte quella di Eugene Hütz dei Gogol Bordello.
Il primo a salire sul palco è il nuovo batterista Jay Lane (Charlie Hunter trio, Alphabet Soup), già al fianco di Claypool nei Frog Brigade e nei Sausage, oltre che in una formazione embrionale dei Primus sul finire degli anni ‘80. Appena arrivano Claypool e Larry LaLonde l’urlo della folla sale alle stelle. Si parte con “To Defy the Laws of Tradition” dal disco d’esordio “Frizzle Fry” (1990) e l’ex Palacisalfa diventa una bolgia.
Bombetta d’ordinanza e giacca per Les, maglia a righe stile grunge per Larry e subito un vortice di note suonate a velocità inaudita. “Hennepin Crawler” è il primo assaggio del nuovo album “Green Naugahyde”, in uscita in Italia il prossimo 9 settembre. Alla fine saranno quattro i brani inediti proposti durante la serata: “Lee Van Cleef”, “Tragedy’s a’ Comin‘” e l’ipnotico “Jilly’s on Smack”.
È la testimonianza che non siamo di fronte all’amarcord o all’autocelebrazione, bensì al cospetto di un gruppo rigenerato che ha ancora molto da dire. “Fisticuffs” e “American Life” lo testimoniano ulteriormente, mostrando la nuova direzione intrapresa: brani che si allungano, improvvisazione e ricerca sonora. “Over the Falls”, invece che col contrabbasso come in origine, viene eseguita col basso dobro (il “Michael Kelly Bayou 4”) e lascia spazio anche a un siparietto divertente che lancia un solo di LaLonde mozzafiato. Non manca il numero ad effetto, con Claypool mascherato da gorilla che suona la whamola (un’asta con una corda di basso percossa con un archetto), duettando con Lane che a sua volta introduce “Eleven”, dall’album capolavoro “Sailing the seas of cheese” (1991).
Ritmi sincopati e riff sorprendenti, strutture dilatate con tecnica sopraffina e un uso sapiente dell’effettistica, sono questi gli ingredienti che funzionano alla perfezione. Ma il momento clou arriva non appena Les imbraccia il suo mitico Carl Thompson sei corde fretless “Rainbow Bass”, ed ecco una doppietta fulminante: “My name is Mud” e “Jerry was a race car driver”. Due furie che scatenano la platea mandando in visibilio i 2500 presenti e che chiudono, in maniera feroce, uno show degno delle attese. Giusto pochi minuti di pausa e arriva l’unico bis della serata: “Puddin Time”. 90 minuti totali con quattordici brani, alcuni inattesi a dispetto di chi chiedeva i classici. D’altronde, in tour ogni sera propongono una scaletta diversa, con brani che cambiano da concerto a concerto senza mai strizzare l’occhio alla ruffianeria. Chi pensava di ritrovare la stessa band protagonista di quel crossover isterico che negli anni ’90 ha fatto breccia, probabilmente è rimasto deluso. I Primus ormai sono un’altra cosa, ben più complessa. In questo decennio di silenzio discografico, il trio californiano non è stato inattivo e ha tenuto sporadiche apparizioni dal vivo negli Usa, dando un assaggio di quella che è la nuova strada intrapresa. Un suono più articolato, più maturo, votato alla jam, con un uso sempre maggiore di effetti e riff che sfociano nella psichedelia.
Claypool è ancora di più un gigante del suo strumento e in questi anni si è ulteriormente evoluto. E non solo come musicista. Ha scritto un libro (South of the Pumphouse), ha fatto dei film, prodotto giovani artisti con la sua etichetta, composto colonne sonore, prodotto vini (la sua nuova passione, oltre alla pesca) e ha dato vita a svariati progetti musicali, sperimentando parecchio. Quel bassista tecnicamente eccelso, funambolico e innovatore, è oggi una vera e propria icona, una figura ancora più estrema e creativa. LaLonde non è un comprimario, non lo è mai stato. È un ottimo chitarrista che non va mai oltre le righe, che sa farsi notare senza risultare eccessivo. Che sa duettare e tessere trame soniche accattivanti con la sua sei corde. Mentre il drumming di Jay Lane si mostra perfettamente funzionale a questa seconda giovinezza del gruppo, andando a consolidare una ritmica possente e frizzante.
Il giusto mix tra gli stili di Tim “Herb” Alexander e Bryan “Brain” Mantia. Dal vivo suonano da paura, adesso non resta che aspettare il mese di settembre per ascoltare il nuovo lavoro discografico “Green Naugahyde”, con la speranza di rivederli presto live dalle nostre parti. Ma con la certezza che quando i Primus fanno musica, ci troviamo sempre al cospetto di una band monumentale!
Ps. I video sono tratti dal festival Bonnaroo del 10 giugno 2011, data vicinissima a quella romana (2 settimane prima). Entrambi i brani sono stati eseguiti pure a Roma.
Autore: Umberto Di Micco _ foto di Titti Fabozzi
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