I British Sea Power (al secolo Yan alla voce e chitarra, Noble alla chitarra solista, Hamilton al basso e alla voce, Wood alla batteria, è tradizione che i quattro si identifichino solo per il cognome) sono ormai al loro settimo disco dopo l’esordio con The Decline of British Sea Power del 2003, e possiamo dire che il loro marchio di fabbrica è noto, e Let the Dancers Inherit the Party non ne segna per fortuna la parabola discendente.
Non si contano le citazioni possibili delle band, anni ’80 soprattutto, dalle quali pescano a piene mani, quasi come se trent’anni dalla new wave di allora non fossero passati. Erroneamente paragonati ai Joy Division, in realtà i quattro di Brighton ricalcano melodie meno complesse come gli U2, i Simple Minds soprattutto, i Chamaleons, gli Smiths, e insomma tutto quel grande e storico filone che ha fatto la storia dell’Inghilterra musicale di inizio anni ’80.
Rispetto a tutta questa eredità, e anche ai loro precedenti dischi, qui si avverte forse un po’ di manierismo, una sorta di inerzia, una abitudine a fare belle canzoni che rischia di scivolare verso la poca anima. Ma siamo ancora lontani, per fortuna, da un che di negativo: a trascinare il disco verso alte vette sono anzitutto i due singoli, Bad Bohemian, soprattutto, piccolo capolavoro new wave, e Sechs Freunde, commerciale quanto vuoi ma irresistibile. E poi c’è il pathos epico di International Space Station, come i BSP ci hanno già abituati tante volte ad ascoltare, e la batteria intrigante di What You’re Doing, l’ariosa e trionfante The Voice of Ivy Lee, l’introversa e malinconica Electrical Kittens, la complessa e strutturata Praise for Whatever, non facile al primo ascolto, e la insolita e cupa Want to Be Free, fino alla romantica (e vagamente icelandic) conclusione di Alone Piano. Insomma, c’è la giusta miscellanea per confezionare un prodotto di sicuro successo e di sicura qualità, come del resto i BSP sanno fare e da tempo.
Forse l’album difetta di innovazione, ma non si rimprovererà certo ai BSP di cavalcare un genere con poche deviazioni di percorso, visto che questo tutto sommato è lo standard delle band pop-rock. C’è poca contaminazione, ma il sound di questa band trova ancora una volta conferma nel suo genere, ed è purissimo arioso e luminoso come al solito.
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autore: Francesco Postiglione