Fino al 2000, della autentica leggenda folk Judy Collins si contava quasi un album all’anno. Dal 2000 in poi, se si eccettuano una raccolta di bests (The Essential Judy Collins) e un album di interpretazioni di Leonard Cohen (Democracy), entrambi del 2004 come cantante non se ne aveva più notizia, nemmeno come scrittrice di romanzi e novelle (genere che le aveva permesso negli anni di pubblicare Trust Your Heart del 1987, Amazing Grace del 1991, Shameless del 995, Singing Lessons del 1998.
Ovviamente ciò era dovuto al suicidio del figlio Calrk Taylor, distrutto dalla depressione e dagli stupefacenti, per il quale Judy ha scritto qualche anno fa una sorta di inchiesta-diario autobiografico (Sanity and Grace: A Journey of Suicide, Survival and Strength del 2003).
E’ tanto più un notizione di quelli ghiottissimi (e soprattutto una buona notizia non solo per i fan, ma per la cantante stessa e per la storia della musica folk in generale) che Judy sia tornata a pubblicare con Paradise, un album che naturalmente non poteva non suscitare aspettative enormi.
Nella sua migliore tradizione, anche questo è un album di interpretazioni: la tuttora bellissima Judy si confronta con un pezzo meraviglioso in stile traditional di Joan Baez, Diamonds and Rust (duettato con la stessa Baez), con uno di Tim Buckley, la splendida e poetica Once I was (in cui suona anche il piano), con uno di Tom Paxton, Last Thing on my Mind, per il quale duetta nientemeno che con Stephen Stills (avete capito bene; si tratta di quello Stills del leggendario supergruppo Crosby Stills Nash e Young, che qualcuno ricorderà come autore di Judy Blue Eyes, ed è proprio la dolce Collins dagli occhi azzurri la Judy della canzone), con un’aria gospel, Over the Rainbow, con la ballata tradizionale Dens of Yarrow per l’occasione da lei stessa arrangiata, e con pezzi anche più leggeri e meno impegnativi come Weight of the World e Kingdom Come, da lei stessa scritto. Concludono un album di queste dimensioni un duetto con Michael Johnson, Emilio, un’altra canzone corale in stile traditional, Ghost Riders in the Sky, e la leggiadrissima Gauguin, di Jimmy Webb.
Che dire di questa ennesima prova? Si capisce certo che dopo ben 38 dischi Paradise nulla può aggiungere alla storica discografia di quest’artista che da sola rappresenta un gigantesco capitolo del folk al femminile, si intuirà anche che la voce è sempre la stessa, bellissima, suadente, profonda, capace di qualsiasi prodezza, dal traditional al gospel passando per la ballata al pianoforte.
Ma va ricordato che per le ragioni già dette il solo fatto che sia uscito rende quest’album assolutamente particolare all’interno della produzione della Collins, e che di certo le canzoni e le interpretazioni vocali non sfigurano con quanto fatto in passato, anche se qui è nettamente prevalente il pianoforte rispetto a tutti gli altri strumenti tipici del folk, lasciati un po’ in secondo piano.
Insomma, il ritorno di Judy Collina è di certo storia, e anche grande notizia, ma soprattutto e pur sempre bellissima, celestiale musica d’autore.
Autore: Francesco Postiglione