Abbiamo incontrato i Retina.it, duo che nasce alle falde del Vesuvio. Come il magma il sound dei Retina è pronto ad esplodere ed avvolgerci lentamente. Il progetto di questi due artisti pompeiani travalica ogni forma e idea musicale che l’Italia underground riesce ad immaginarsi da una territorio come quello partenopeo. Freak Out segue da anni gli sviluppi di gruppi come i Retina, musica trasversale e non convenzionale. Siamo lieti di presentarvi in esclusiva nazionale un gruppo che farà parlare di se, nel bene e nel male.
FO: Allora…per cominciare: come vi siete conosciuti? Come nasce il progetto Retina e da quali esperienze provenivate?
Nicola: Beh, io provenivo da un ambiente “djistico”…avevo i miei piatti ed ero impegnato per lo più in “festicciole”. Poi comprai il mio primo campionatore e conobbi Lino in occasione di alcune sarate organizzate proprio da lui e da Freak Out (!) in un locale di Boscoreale, qui in provincia di Napoli (il Morrison, ndr).
Lino: Era il periodo, quello, dell’ elettronica trance di primi anni “90”… sai…Psychic Warriors, Orb, Orbital…Ci incontrammo grazie ad una discussione circa un disco in comune della Minus Habens e decidemmo, poi, di provare a creare qualcosa insieme sulla spinta di quegli stimoli. Il “gruppo”, inizialmente, era chiamato “Quiet Man”.
FO: Le influenze principali, comunque, sembrano essere ben radicate negli anni ’80?
Lino: Certo io provengo culturalmente dal quel tipo di suoni. E credo che ancora adesso si possano ascoltare lavori di quel periodo in grado di darti il giusto input, il “capatone”, come diciamo dalle nostre parti! La New Wave è la musica che mi ha formato e non a caso una delle esperienze più significative per me, fu un ciclo di serate “revivalistiche”- revival della “vecchia” vawe – messe in piedi insieme a Lele Nitti e Gilda Bruno circa quattro anni fa a Napoli, quasi per gioco. Quelle notti, qui martedì notte, si rivelarano un autentico successo, mostrando il sempre costante interesse della gente nei confronti dei suoni di quell’ epoca. Erano veri e propri momenti di aggregazione che mi cominciarono a fare capire che quella strada era effettivamente valida da intraprendere da un punto di vista artistico.
FO: E che mi dite riguardo agli strumenti? Le “macchine” hanno avvicinato alla musica persone che forse non avrebbero mai pensato di poterla fare? E’ un fenomeno, questo, accostabile a quello che fu il punk in ambito rock?
Lino: Eheh…questa è una vecchia diatriba! La mia opinione è che agli inizi degli anni ’90 un ruolo fondamentale lo giocò il fatto che molte “macchine” si trovavano a prezzi davvero bassi, invogliando anche chi non aveva grosse possibilità economiche a crearsi il proprio piccolo “studio”, il proprio piccolo mondo nel quale poter creare musica e sperimentare. Se vai inditero con il pensiero in Italia agli inizi degli anni ’80, troverai pochissimi artisti che si avvalevano di quel tipo di tecnologia rispetto, per esempio, alla Germania, dove fermento e possibilità economiche erano più sviluppati. Ecco. Il fattore “monetario” è stato fondamentale. Adesso anche da noi c’è una quantità di nomi legati all’ elettronica.
FO: E poi adesso ci sono i computer?
Lino: Certo. La possibilità di usare il pc come sequencer ha fornito un’ ulteriore “spinta” al tutto. Anche noi ne facciamo uso, ma, in linea di massima, ci piace avere un contatto fisico con lo strumento, anche datato. E’ una questione di approccio, di filosofia, se così si può dire. Ma non disdegnamo il personal computer…è a tutti gli effetti la “new entry” di questi tempi e come tale l’accettiamo e ne individuiamo le potenzialità, ma sempre in accordo con il nostro stile e con le nostre idee.
FO: A proposito di Italia…Tenendo conto di alcuni artisti – diciamo Battiato o Berio – non credi che un certo tipo di musica sperimentale sia più “italiana” di quanto non lo sia un certo pop che va tanto di moda ed è riconoscibile anche all’ estero?
Lino: Eheh…quello che dici ha un senso, ma devi sempre considerare che stai parlando di musica di “culto” per “cultori”. Le persone, mediamente, non hanno molta voglia di approfondire determinate forme musicali, si accontentano di quello che i media propone loro già preconfezionato, individuandolo come “la vera musica”, in questo caso come “la vera musica italiana”. Sarà un discorso forse un po’ presuntuoso e pretenzioso, ma sono sempre meno le persone con le quali riesco a parlare di artisti o band di un certo tipo?
FO: Tempo fa noi di Freak Out ci interessammo molto ad un vostro progetto insieme a Massimo Di Nocera, gli Mnemo, che si muoveva grosso modo su quelle coordinate…Che fine hanno fatto?!
Lino: Gli Mnemo non esistono più. Fu un progetto che ci tenne impegnati per lungo tempo – un tempo durante il quale ancattonammo di fatto le nostre produzioni come Retina – che portò alla creazione di una decina di tracce e di un live. Ci fu un momento di stasi in conseguenza del quale, e di altre complicazioni di vario genere, la band non “tenne” più. Ora ci concentriamo esclusivamente sui Retina.
FO: Mi parlavi dei concerti dal vivo…Veniamo a quello che sembra essere il tallone d’achille della musica elettronica: il momento live. Credete che questa espressione musicale si possa ben adattare all’ ambito “on stage” o rimane prevalentemente materiale da ascolto “privato” ?
Il punto da considerare è quello della prospettiva. Mi spiego meglio. Nella storia della musica sono sempre esistite forme di esibizione che precindessero dal coinvolgimento dell’energia fisica del pubblico. Basti pensare alla musica classica o la musica da camera. Quindi più che un problema di ricezione “visiva”, quella dell’ elettronica live è un problema che coinvolge la ricezione “auditiva” del pubblico che forse non è ancora pronto o semplicemente abituato a questo. Forse si prefeirsce ancora prendere parte ad un concerto rock e passare il tempo immerso nel ballo o nel pogo, oppure semplicemente ad osservare l’altra gente come si comporta. Senza considerare, magari, che sequencer e campionatori si sono sempre usati, anche nell’ambito rock. Per cui più che un deficit del genere credo che il problema da te sollevato riguardi più il pubblico e la sua preparazione. Ormai si deve prendere atto della nascita di una nuova figura nel panaorama musicale: quella del manipolatore di suoni, al pari di come si considera e si è sempre considerato il chitarrista o il cantante…
FO: Molti sperimentatori del passato – per esempio Cage o Riley – davano molta importanza all’improvvisazione, forse anche per la scarsa conoscenza tecnica degli strumenti a loro disposizione. Per voi quanto conta quest’aspetto in fase compositiva prima ed esecutiva poi?
Nicola: La maggior parte del nostro materiale è frutto dell’ improvvisazione. Le basi che usiamo sono poche, così come sono pochi i suoni “prestabiliti” che poi andaranno a comporre la traccia. L.: In effetti partiamo da un loop dal quale si genera di conseguenza tutta la stesura frutto dell’improvvisazione. Non programmiamo cambi o stacchi; sono cose che nascono dal vivo.
FO: E com’è il rapporto dei Retina con Napoli, la città dove vi trovate a vivere, a suonare, a camminare?
Lino: Napoli?! Pompei, prego!!!
Nicola: Pompei e Boscoreale, prego!!! Ok, ok…Pompei e Boscoreale! A parte gli scherzi, non ci sentiamo di Pompei, di Boscoreale, di Napoli etc. Oggi abbiamo la possibilità di metterci in contatto e “vivere”, anche solo virtualemente, un po’ dove vogliamo. Mi sento cittadino di ogni luogo, in pratica-sai-il villaggio globale!
FO: E dal punto di vista musicale?
Nicola: Onestamente, dal punto di vista musicale, non ci sentiamo troppo vicini a quello che Napoli propone, se si fa eccezione per la scena techno, che apprezziamo e seguiamo.
Lino: Se ascolti i nostri brani puoi facilmente renderti conto di quale sia il liet-motiv…e non è certo di derivazione partenopea. L’ unica cosa che abbiamo in comune con certa musica tipica di questi posti – il dub in particolare – è un certo uso delle sovraincisioni le tracce o inserire determinati effetti. Ma si tratta di piccole cose, per lo più tecniche. Poi, soprattutto negli ultimi tempi, frequento Napoli molto poco. Le uniche serate a cui mi piacerebbe partecipare sono in genere troppo onerose…per cui…
FO: Adesso…mi spieghi un po’ come siete messi tra Hefty e Wide?! Come coordinate il lavoro?
Nicola: Il contatto con la Hefty, inizialmente, ce lo procurò la Wide. Poi le cose tra noi e l’ etichetta di Chicago sono andate avanti naturalemente. L.: Ovviamente la Wide, nella persona di Gabriele, è ben presente anche in questa esperienza. Tant’è vero che abbiamo chiesto l’appoggio della sua esperienza anche riguardo al nuovo lavoro che uscirà per Hefty, in vinile 12″. Il lavoro completo in formato cd, invece, è di appannaggio della Wide, almeno fino alla fine del 2001.
FO: …e di Internet e della tecnologia Mp3 cose ne pensate?!
Lino: Beh, sono tendenzialmente favorevole. Anzi ti dirò che, soprattutto considerando il tipo di musica, vedo di buon occhio la creazione di una piccola “scena” virtuale fatta di gente realmente interessata che si scambia file audio, come accade con Napster. Anche in passato, non potendo acquistare tutti in dischi che uscivano, ti facevi le “cassettine”…Ora è solo cambiato il supporto, ma la sostanza rimane quella. Per cui tutto questo lo vedo anche come possibile stimolo all’ acquisto. In rete puoi trovare quel gruppo che non conoscevi di cui hai scaricato due o tre tracce, e che poi andrai a comprare “regolarmente” nei negozi…
FO: Domanda finale incrociata! Il peggior difetto di Lino secondo Nicola e viceversa!
Lino: Nicola parla troppo poco!
Nicola: Lino parla troppo!
Gerardo Ancora e Giulio Pescatori