Presentarsi sul palco alle 23 senza motivi apparentemente giustificabili (non c’era nessuno di spalla), vuol dire andare incontro a una solenne cazziata che puntualmente arriva da un tipo adiratissimo, pur essendo gli Offlaga Disco Pax e pur contando sul pubblico amico, nel senso di fazioso, nel senso di sinistra, di quelli (molti) che hanno disertato le urne. Sarebbe interessante confrontare il risultato elettorale della sinistra con i testi di Max Collini, ma non è questa la sede opportuna. Tuttavia non si può parlare degli Offlaga e di un loro concerto “senza politicizzare il referente” – come diceva Baraka – né tantomeno il loro seguito.
Sfilano così, su un impianto post-punk, i ritratti a uomini e cose di Socialismo tascabile: Kappler, il professore conservatore, il commesso stronzo di Tono metallico standard, la piazza di un piccolo paese romagnolo intitolata a Lenin in Piccola Pietroburgo, contrapposta alla Praga ripulita dal comunismo di Tatranky, il Bignami fine ’70 di Robespierre. E quelli del nuovo, più meditabondo, Bachelite: l’eroismo dello sport sovietico in Ventrale, la giovane ragazza tossica di periferia in Cioccolato I.A.C.P., Superchiome su una tipa che “parla spesso di niente ma con piglio personale”, Lungimiranza “quando il partito faceva il partito”, il piccolo eroico atto di rubare la propria macchina sotto sequestro (Ho rubato una Golf), la sorda e ottusa solitudine di Venti minuti. Molti passaggi della prosa di Collini, cui non difettano ironia e sarcasmo, sono sottolineati da applausi scroscianti e spontanei come quando in Sensibile le parole di sdegno verso lo stragismo di stato ad opera della destra neofascista diventano macigni sulla coscienza di tutti, oltre che dei diretti interessati (la Mambro e Fioravanti), se mai avessero costoro uno straccio di coscienza. Questo mood contribuisce a trasformare il concerto in happening e la partecipazione ben più diretta che di un loro disco, in cui il rapporto con l’ascoltatore si allenta per via di suoni chirurgici sintetizzati (Enrico Fontanelli, anche al basso) che coprono un po’ troppo le ottime chitarre di Daniele Garretti, e del distacco talvolta siderale della voce. Dal vivo il personale amarcord – nel significato romagnolo dell’espressione mutuata dal topos felliniano – di Collini diventa pertanto collettivo, e si fa dramma laddove le memorie dell’infanzia e dell’adolescenza registrano la dolorosa assenza di un universo che va scomparendo inesorabilmente assieme alla sua toponomastica, lasciando a chi ascolta un antidoto in tempi di revisionismo becero, ma anche magone e sgomento verso un futuro incerto, proprio in virtù dello sconsolante scenario politico odierno. Si fa strada la consapevolezza che anche la memoria, da sola, non basta. Ed è questa mancanza di prospettive forse il peccato più grande degli Offlaga e al tempo stesso, per tutti gli orfani dei CCCP, il prezzo da pagare per salire sulla giostra dei ricordi, accompagnati da un’elettronica umanizzata, sommessa e nostalgica, colonna sonora ideale per evocare uno spazio – un socialismo, tascabile e non – che anche quando è condiviso e collettivo è comunque e sempre interiore. Una questione privata.
Autore: Fabio Astore
www.offlagadiscopax.it