Il concerto nell’anfiteatro della Grotta di Seiano, nel Sito Archeologico di Pausylipon, rappresenta un’ appendice nel percorso multimediale del Maggio dei Monumenti dedicato ai Misteri di Napoli, e dunque corollario di una mostra-installazione che Brian Eno ha dedicato alla nostra città – parole sue – “fortemente simbolica”. L’installazione audio-visiva si intitola “77 Million Paintings for Naples”, e si basa sulla capacità di un particolare tipo di processore di generare, partendo da disegni e dipinti originali dello stesso Eno, combinazioni visive uniche e virtualmente infinite ma che, allo stesso tempo, non è capace di moltiplicare per un numero altrettanto esponenziale la pazienza del visitatore più cocciuto e motivato. Tuttavia è un’occasione unica per i napoletani dal fiuto eccezionale per grugnire di gioia in uno dei (non)luoghi di cui si è sentito spesso favoleggiare (Misteri di Napoli), tanto per spararsi le pose con gli “altri” napoletani meno dotati, della serie “Uà, non sei mai stato nella Grotta di Seiano?”
…Ma veniamo alle note meno dolenti: è una splendida serata sotto la luna, il posto è da sogno e difficilmente se lo scorderanno pure i tedeschi sul palco: in quattro, compreso Schwalm, a manipolare computer, immagini – due dei quali anche con basso e chitarra elettrica – coinvolti e ispirati (e vorrei vedere il contrario) a dipingere una tela di suoni in cui inizialmente affiora il Sylvian degli ultimi lavori. Quindi la lunga suite vira verso strali sintetizzati, tipici del kraut, di cui i tedeschi sono antesignani indiscussi; poi le rarefazioni cedono il passo alla cupezza ritmica del basso e ai singhiozzi campionati della batteria. Allo stesso modo, le immagini si alternano tra la natura in bianco e nero (il mare aperto, gabbiani in volo) e le fredde geometrie della rete (siti web in allestimento?). Una chitarra cosmica, trattata, taglia fette d’aria per poi affievolirsi nei fuochi fatui dell’ambient dal respiro profondo, rasentando l’impalpabilità d’ascolto coniata da Eno, conservando flebili melodie. Un percorso che traghetta l’uomo-macchina verso nostalgie bucoliche, simulando archi e arpeggi nell’incanto della reiterazione, come l’uomo che scorge sgomento la natura e la bellezza e verso essa muove, come al canto di una sirena. Evidentemente gli androidi non sognano pecore elettriche ma placide pecore in carne e ossa. Conclusa l’avventura, Schwalm annuncia che sarà raggiunto sul palco da un partner…
E quella boccia pelata che si posiziona dietro al McIntosh, non ci sono dubbi è quella di Sua Maestà l’Astrazione, Brian Eno in persona, tra mormorii e grida e la sorpresa generale. Il sottoscritto non fa testo essendo – se caso mai non si fosse capito – lì per pura combinazione, ma a quanto pare nessuno se l’aspettava, altrimenti si sarebbero visti attorno sacchi a pelo e tende accampate. In ogni caso c’e voluta una tela più grande per contenere nuove figure in fuga e la voce ispirata del Re Mida del rock (rock?) e le sinistre litanie elettroniche vicine al Bowie berlinese, ma inevitabilmente evolute, del pezzo conclusivo. Poi gli astanti, dopo aver invano invocato un segno di benevolenza, una proroga della sua venuta al Messia, si sono dispersi come pecorelle smarrite, collezionando ammonizioni a ritta e a mancina, curiosando tra le rovine e il parapetto, che offre un’angolazione inedita della spiaggetta di Trentaremi, cercando di riempirsi gli occhi di quella bellezza che ha scardinato anche i freddi animi teutonici, consci che chissaquandocapitaunaltravolta. Consci che questo scorcio di Napoli è appannaggio di chi se lo può permettere e cioè un mafioso che vi abita. Così si dice in giro. Misteri di Napoli?
Autore: Fabio Astore
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